martedì, giugno 06, 2006

Guerra e Pace

Fuori un altro.

La conta dei morti del contingente italiano, ieri sera si è allungata di un'altra unità; certo, siamo ancora lontani dai 2000 morti americani, e lo siamo ancora di più dai circa 40.000 irakeni (secondo l'Iraq Body Count). Aggiungere anche questa vittima, però, mi fa più impressione perchè si tratta di un mio Co-isolano e sarebbe potuto essere un mio amico o una persona che conoscevo.

La Sardegna è infatti piena di ragazzi che, per mancanza di altre prospettive, si arruola in qualche forza armata. Certo, se andiamo a vedere, sono pochissimi quelli che partono sperando di partecipare ad una missione internazionale il prima possibile, molti sono attirati maggiormente dal dignitoso stipendio e probabilmente fanno gli scongiuri affinchè non scoppi nessuna guerra, poi ci sono gli altri, quelli che scelgono di partire. Anche questi ultimi, secondo il luogo comune, sono mossi dal bisogno: 6 mesi di missione vogliono dire 6000 euro al mese, qualcino li metterà da parte per i momenti difficili, qualcun'altro si deve sposare, altri ancora gli utilizzeranno per finirsi la casa, insomma , partire per l'Iraq è un modo come un altro per sistemarsi (giustissimo, dico io, ma mi viene da pensare a tutti quelli che cercano di sistemarsi guadagnando 1200 euro al mese ...ma questa è un'altra storia). Il problema è: vale la pena rischiare di essere uccisi per cercare di "sistemarsi"? Ma soprattutto, come mai in Sardegna ci sono tanti giovani pronti a correre questo rischio senza essere sfiorati dal dubbio? Potrebbe essere che il bisogno abbia superato quella soglia critica che rende plausibile anche la perdita della vita per riuscire a soddisfarlo, il che è plausibile visto che da queste parti non si naviga certo nell'oro. Io, però, ho un'altra idea che non esclude la prima ipotesi: queste persone partono senza sapere quello che stanno facendo, sono confusi. Non è colpa loro, non sono persone stupide, anzi...

Il problema è che vengono fregati ogni giorno dai padroni delle parole, coloro insistentemente si ostinano a chiamare questa sciagurata guerra Missione di Pace, gli stessi che nel 98 chiamarono i bombardamenti su Belgrado "interventi umanitari". Le parole sono importanti, danno senso al mondo in cui viviamo, sono un patrimonio troppo prezioso per lasciarle in mano ad un elite che le riempie con i significati più convenienti al loro disegno politico. E non venitemi a dire che le parole non possono uccidere, perchè sono già troppe le persone che ci hanno lasciato la pelle. Niente più "spedizioni straordinarie" al posto di rapimenti, niente più "interrogatori speciali" al posto di tortura, ma soprattutto niente più pace al posto di guerra.